giovedì 5 agosto 2010

Quel qualcosa dentro... che si chiama "dignità"

Mi sono sempre chiesta cosa muova gli uomini a lavorare e spesso per obiettivi così diversi.
Vorrei riflettere sul nostro quotidiano, su ciò che vediamo tutti i giorni nelle persone con cui ci relazioniamo, il collega di lavoro, l'insegnante di nostro figlio, la cassiera del supermercato, l'autista del tram, l'addetto allo sportello di un ente pubblico o privato, il medico di base, l'infermiere dell'ospedale... e la lista potrebbe continuare.
Ho sempre sentito in me una forte spinta al lavoro, in un'unica direzione, ma non ho mai saputo darvi un nome. E' un qualcosa di profondo che mi hanno trasmesso i miei genitori e ho fatto mio. Quando penso al lavoro, vedo gli occhi di mio padre che mi guarda sorridendo e mi dice nel nostro dialetto: "Se te sei 'mpazada no sta nar da chi no g'ha nient da far, va da quel ch'el core sempre, te vedrai ch'el tempo per ti el lo trova!" ("Se hai bisogno di qualcosa non andare da chi non ha niente da fare, vai dalla persona che è sommersa di lavoro e vedrai che il tempo per te lo trova").
Dieci giorni fa ero in spiaggia, assorta nella lettura di un romanzo, scelto a caso nella libreria di casa prima di partire. E in quelle pagine trovai la risposta che andavo cercando. Ecco quanto.

da Quel che resta del giorno di Kazuo Ishiguro

"[...] Permettetemi di formulare la cosa in questo modo: la "dignità", in un maggiordomo, ha a che fare fondamentalmente, con la capacità di non abbandonare il professionista nel quale si incarna. Maggiordomi di meno levatura sono pronti, alla minima provocazione, a metter da parte la loro figura professionale per lasciar emergere la dimensione privata. Per simili personaggi, fare il maggiordomo è come recitare in una pantomima; basta una piccola spinta, un lieve inciampo, ed ecco che la facciata cade scoprendo l'attore che c'è sotto. I grandi maggiordomi sono grandi proprio per la capacità che hanno di vivere all'interno del loro ruolo professionale e di viverci fino in fondo; sono individui che non si fanno sconvolgere da eventi esterni, per quanto sorprendenti, allarmanti o irritanti questi possano essere. Essi portano su di sè la loro professionalità allo stesso modo in cui un vero gentiluomo porta l'abito che indossa: e cioè senza consentire a dei mascalzoni o alle circostanze di strapparglielo di dosso davanti agli occhi di tutti; sarà egli stesso ad abbandonarlo quando stabilirà di farlo e soltanto allora (...). Si tratta, come dicevo, di una questione di dignità".