domenica 27 febbraio 2011

Abbassare le difese e alzare le motivazioni: puntare su ciò che vogliamo fare, conoscendo i difficili equilibri sottesi all'organizzazione.

"Sinora siamo sopravvissuti. Abbiamo imparato e insegnato a sopravvivere. Nessuno ci ha insegnato a vivere. Ci sono state dette moltissime cose su quello che non dovevamo fare e pochissime cose su quello che volevamo fare. La società in cui siamo vissuti è stata quella della scarsità, dell'obiettività spinta degli oggetti e del malessere. [...]
Benestanti si diventa, non si nasce. Nessuno nasce benestante. Cosa vuol dire tutto questo? Vuol dire che, oramai, è evidente che si può imparare a star bene e, di conseguenza, si può insegnarlo. Però bisogna prima inventarlo, perché il benessere non esiste "in natura". Ed è anche evidente che lo star bene è essenzialmente un sentirsi bene, cioè un vivere di più la dimensione soggettiva della nostra vita. [...]
In una società fluente il lavoro sarà organizzato ludicamente, come già l'industria da anni predice e propone. [...] Non i rivoluzionari di professione, ma coloro che conoscono i sottili equilibri psichici tra espressione e repressione saranno gli esperti di sviluppo del benessere. A poco a poco, il problema del tempo altrui repressivo, e nostro espressivo, porterà il lavoro nei territori del tempo nostro e del benessere soggettivo, non più colpevolizzante o unidimensionale. Noi oggi abbiamo il compito di capire, di non attendere passivi un inaspettato futuro ma di desiderarlo fortemente, tanto da farlo diventare progetto, soggetto e politica. Oggi il lavoro ci deve aiutare a decriminalizzare il benessere e a non dover usare la colpevolezza per sentirci potenti nelle nostre relazioni. La devianza e la creatività, che già oggi sono la base dell'efficienza e dell'eccellenza di un'organizzazione, di quello che possiamo chiamare la capacità del soggetto collettivo di trattare la devianza finalizzandola al benessere, porteranno alla comprensione emotiva e tecnica di come il lavoro possa trattare l'espressione degli uomini. Il mito distrugge e il gioco sviluppa questa espressione: e ciò vale sia per l'espressione sia per la creatività, sia per il benessere che per la pace degli uomini tutti. Poiché l'organizzazione appare sempre di più essere uno stato d'animo, occorre prevedere una progettazione continua di stati d'animo, una loro gestione e un loro utilizzo per il benessere individuale e collettivo del soggetto in quanto titolare, appunto, di un'ipotesi benessere".

Enzo Spaltro in "Psicologia per le Organizzazioni".

Il mio "essere formatore" ha sempre avuto come principale obiettivo quello di stimolare "pensiero"...  per promuovere quel minimo cambiamento che ognuno di noi è disponibile a "giocarsi" nel qui ed ora. Questa è rimasta una dominante nel mio percorso di lavoro e di studio.  
Mi sono avvicinata al pensiero di Enzo Spaltro solo qualche anno fa grazie a Flavio Montanari, un formatore che mi ha "illuminata" sul "gruppo", stimolando il mio "essere formatore" ad inoltrarsi in un viaggio di ricerca dei miei punti di forza e di debolezza, per scoprire che i secondi possono trasformarsi nei primi quando riesco a focalizzarne e valorizzarne le molte sfaccettature e a non viverli come concetti assoluti e immodificabili. 

Oggi quando entro in un'organizzazione, ciò che mi propongo come prima cosa, che va di pari passo con l'obiettivo di stimolare "pensiero", è di scendere dalla "mia cattedra", pormi in relazione e lasciare che il "progetto sia una scoperta che si dispiega" dal e nel gruppo, e non un'invenzione personale, a dir poco presuntuosa. Molti "grandi" nomi di studiosi sono con me, sento profonda riconoscenza per chi ha dedicato il proprio tempo alla ricerca con una tale dedizione, e i loro scritti sono un dono che non può essere ignorato, ma ha bisogno di essere scartato con calma, letto, compreso, fatto proprio e poi tradotto in qualcosa d'altro. Per questo verbalizzare le loro teorie spesso non ha senso per le persone che ho di fronte, perché non hanno scelto quel dono e non sono interessati a scartarlo preconfezionato in qualche modo da me. Ecco allora che il mio lavoro parte da lì e diventa ludico: niente teorie calate dall'alto, niente "spade" per grandi rivoluzioni, ma piccoli semplici giochi sapienti nel condurre "espressione" e "repressione", nel promuovere comunicazione per poterne parlare, nel tessere relazioni per poterle sperimentare, nel differenziare bisogni e desideri, nel far luce sul lamento per aprire la strada al conflitto. 

Nel percorso di gruppo avverto solitamente un punto di svolta quando sento che ci stiamo addentrando nel "tempo nostro". E' lì che il mio lavoro si permea di senso. E' lì che sento un'emozione che gratifica fino alle viscere, cancellando ogni stanchezza. E' lì che grandi nomi come Enzo Spaltro sono con me e  un po' mi sento anch'io un "esperto di sviluppo del benessere".

Mara